I tacchi alti: dall'antico Egitto ai giorni nostri
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I tacchi alti: dall'antico Egitto ai giorni nostri
28/02/2016 “Io non so chi abbia inventato i tacchi alti, ma tutte le donne devono loro molto” parola della divina Marylin Monroe.
I tacchi alti o vertiginosi sono alleati delle donne che li usano per slanciare la figura, assottigliare la gamba e avere qualche centimetro in più di altezza. Ma da dove viene il tacco? I primissimi rialzi vengono dall'antico Egitto dove, si dice, i macellai portavano tacchi per evitare il sangue a terra. L'invenzione dei tacchi alti però è attribuita a Caterina de’ Medici che li indossò in occasione del suo matrimonio. Anche Mary Tudor cercò il modo per apparire più alta. Ma non è solo un vezzo femminile: dal 1580, questi rialzi divengono popolari per entrambi i sessi. Chi li indossava veniva considerato "benestante".
All'inizio del 1700 Re Luigi XIV portava spesso tacchi con personali decorazioni che raffiguravano scene di battaglia in miniatura. Il Re decretò che solo la nobiltà poteva indossare rialzi colorati di rosso e che nessuno mai avrebbe potuto portarli uguali ai suoi. La Rivoluzione francese taglia la testa… e i tacchi. Lo stivale domina il XIX secolo. Anche le donne ne indossano una versione più bassa, lo stivaletto. Ma è alla fine del 1800 che, prima in Francia poi in America, prende vita la moda del tacco, mai più interrotta.
Amato da tutti gli stilisti e da gran parte delle donne, raggiungono nuovi apici con l'avvento del tacco a spillo nel 1952.
A rendere leggendaria questa calzatura hanno contribuito le creazioni di Ferragamo, la court shoe di Marilyn Monroe e i sandali confezionati per Sofia Loren e Lara Turner. Ma anche le scarpe con tacco a stiletto che Roger Vivier disegnò per Marlene Dietrich e Charles Jourdan. E come non menzionare Christian Louboutin con il suo inconfondibile tacco stiletto.
I tacchi si indossano per motivi estetici e di eleganza certo, ma non sempre sono sinonimo di comodità.
Chi ama questo genere di scarpe risponderà che “chi bella vuole apparire dopotutto un po' deve soffrire…”.